Giorni fatti di poche ore di sonno, di tempo rubato alla famiglia, di agende zeppe e impegni che si accavallano. Giorni passati tra la gente: oltre i proclami e alle facce appiccicate sui manifesti, là dove ha davvero senso fare politica. Al voto del 4 marzo manca ancora qualche giorno, Emanuele Monti trova un attimo per sedersi e tirare un po’ il fiato: giusto qualche minuto, per guardarsi indietro.

“Questa campagna elettorale – dice il candidato della Lega alle Regionali – mi sta piacendo perché è esattamente come dovrebbe essere una campagna elettorale: intensa, sfiancante, densa. Ma capace di restituirti tutto quello che ti toglie, moltiplicato per mille”.

Il suo camper sta girando tutti i comuni della provincia: diamo i numeri?

«Diecimila chilometri macinati, quattordicimila mani strette, cinquanta paesi visitati, centomila volantini distribuiti: tutto per incontrare persone, per ascoltare, per capire. E solo dopo aver ascoltato, solo dopo aver raccolto preoccupazioni e problemi, solo dopo ho detto: “Il 4 marzo, se vorrai, votami”».

Cosa le sta lasciando dentro, questo viaggio attorno al Varesotto?

«Innanzitutto, le nostre eccellenze nascoste: a Cislago, per esempio, ho scoperto un’azienda che è la quarta produttrice mondiale in un particolare componente per auto. Poi ho visitato un’altra realtà che produce pelletteria e vende a una casa di moda tra le più famose al mondo. Questo sa cosa significa?»

Cosa?

«Che ci sono grandi realtà nascoste, nella nostra zona. Eccellenze. Gente che lavora meglio di chiunque altro al mondo senza essere aiutato, senza chiedere nulla. Perché il lombardo non chiede, il lombardo fa. Pensate cosa potrebbe fare il lombardo, se fosse davvero affiancato dalla politica. Ecco dove dobbiamo intervenire».

E dove?

«Qui: sul “saper fare”. Partendo dall’inizio, partendo dalla scuola: settore da ripensare completamente anche e soprattutto perché oggi è completamente scollato dalle imprese. I nostri ragazzi devono poter imparare e poi guardare come si fa, devono sporcarsi le mani: e devono farlo per davvero, perché c’è sempre bisogno di gente che “sa come si fa”».

Continui…

«Il mondo del volontariato: realtà umili e grandiose che mi hanno commosso. Anche in questo caso, eccellenze: eccellenze silenziose. Ho visitato diverse realtà, alcune legate a un tema a me molto caro come quello dell’autismo: realtà che vanno avanti esclusivamente grazie alla potenza del volontariato sulle quali bisognerebbe invece investire. Perché un euro investito in queste realtà restituisce un ritorno sociale enorme: sono tantissime le famiglie coinvolte in problematiche di questo genere, tantissime persone che hanno bisogno di essere ascoltate».

Qual è stata la cosa che più l’ha colpita, finora, nel suo tour?

«La delusione degli anziani, arrabbiati e disillusi dalla politica: fino all’ultimo momento decideranno se andare a votare e chi votare. Tanti, tantissimi sono stati falcidiati dalla riforma Fornero e ora si trovano in questa sorta di limbo tra il lavoro e la pensione che, per loro, è atroce. Sono delusi, ma se vedono un politico che si siede con loro al tavolino del bar lo stanno ad ascoltare perché capiscono che la politica può anche essere fatta dalle persone in carne e ossa, non solo dai talk show. Perché il talk show parla e basta, la politica vera invece ascolta».

Che Italia sta incontrando?

«Un paese fermo a cinque anni fa, ma con molti più problemi. La gente chiede speranza, la gente chiede chiarezza: anche e soprattutto sulle tasse. Perché bisogna essere chiari: qui non si tratta di promettere “meno tasse”, il discorso è un altro».

E sarebbe?

«Sarebbe dire con chiarezza quante tasse bisogna pagare: ho parlato con giovani volenterosi e pieni di idee, pronti a lanciarsi nella loro startup, che però frenano. Perché non sanno a cosa andrebbero incontro, non sanno quante tasse pagherebbero e hanno la sensazione di lanciarsi in un buco nero. A loro bisogna dare delle risposte».

La flat tax è una risposta?

«E’ una proposta nuova, diversa, e davvero realizzabile. Altri paesi al mondo l’hanno adottata e sta funzionando, perché dice con chiarezza quanto deve pagare ognuno e soprattutto permette di recuperare tanto sommerso. E’ un disincentivo all’evasione fiscale, funziona benissimo».

Cosa significa “autonomia”?

«Significa “ora o mai più”. La gente adesso vuole i fatti, ce l’ha chiesto molto chiaramente e ora vuole una risposta concreta. E lasciatemelo dire: nessuno meglio di Fontana, il sindaco dei lombardi e “l’uomo della buca”, può dare una risposta concreta. E sto parlando di cose reali, vere. Autonomia significa andare a visitare l’azienda del signor Marco che dovrebbe cambiare tutti i macchinari ma non può farlo, e lo farebbe se fosse aiutato: lo farebbe e aumenterebbe la capacità produttiva, assumerebbe qualche giovane. Qui in Lombardia non mancano gli ordini o il lavoro: manca la capacità produttiva. Ed è un paradosso, non credete?».

Immigrazione, un tema caldo per voi…

«La gente è stanca, non è razzista: è stanca. Bisogna chiamare le cose con il loro nome. Immigrazione significa un signore di Malgesso che dopo anni di sacrifici si è comprato la sua casa, 80 metri quadri. Sopra di lui, perché la Prefettura ha dato il via libera, ci sono otto migranti richiedenti asilo: otto migranti in ottanta metri quadri. Questo signore è disperato: non può vendere la sua casa, ha casino dal mattino alla sera, non sa cosa fare. Otto persone in ottanta metri quadri non sono una risorsa, sono un peso: e gli italiani sono stanchi dei pesi».

Sul suo camper ha scritto “Prima i nostri”. Cosa significa?

«Significa che se ho un euro da investire lo investo sugli italiani. Poi, quello che avanza lo utilizzo per solidarietà, per creare le condizioni che possano aiutare chi ha bisogno senza doverlo per forza accogliere. Quelle otto persone che sono a Malgesso non possono più stare lì: l’Europa si attivi, trovi una sistemazione diversa. Non a Malgesso, non sopra la casa del signore che ho conosciuto. Non lì. Ma immigrazione non è solo questo».

E cos’altro è?

«Il mercato di Fagnano, dove tre bancarelle su cinque sono gestite da extracomunitari. La stazione di Varese, dove la sera non si può scendere dal treno senza aver paura di essere importunati. Il Parco Pineta di Tradate, dove ci sono le prostitute nigeriane gestite dal racket».

A proposito: sulla prostituzione che idea ha?

«Il racket della prostituzione va combattuto con la forza della legalità, e una strada con una prostituta è una strada dove lo Stato ha perso. La prostituzione è un’altra cosa: è una scelta consapevole di uomini e donne che dev’essere legalizzata con norme igieniche, sanitarie. E con una tassazione chiara e definita».

Chi la accompagna in questo viaggio?

«I miei ragazzi, il gruppo dei Giovani Padani: una squadra di amici con cui ho condiviso chilometri e battaglie e che stanno rappresentando la continuità di quel movimento nel quale ho iniziato a fare politica: un giovane padano resta sempre un giovane padano. Anni fa eravamo in dieci in tutt’Italia, ora c’è un gruppo di ragazzi entusiasti. Portatori sani di valori. E poi c’è la mia famiglia».

Qual è la sua famiglia?

«I miei genitori sempre presenti, a volte in silenzio e a volte “facendo” quando serve. I miei due fratelli, una squadra unitissima: mio fratello Roberto ha un bar in viale Europa che si è trasformato in un Monti Point. Tutti stiamo condividendo questa esperienza perché è forte dei valori con cui sono stato tirato su. E poi c’è mia moglie. Il perno attorno a cui ruota la mia esistenza, il mare su cui galleggio. Aprire la porta di casa la sera e sapere che c’è lei ad aspettarmi, dà senso a ogni giornata. Tra qualche settimana mi renderà padre di Ettore: ecco il senso di tutto. Perché noi siamo fortunati: siamo nati qui e non altrove. Abbiamo avuto una fortuna sfacciata, a nascere qui: ecco, un po’ di questa fortuna dobbiamo restituirla, abbiamo il dovere di fare qualcosa per gli altri e per chi verrà dopo di noi. Quando mi chiedono perché faccio politica mi piace rispondere così: mi candido e faccio politica per Ettore, e per tutti quanti i suoi coetanei».

Ma che cos’è per lei la politica?

«Ascoltare. E dire: «Io ci sono e provo a darti una mano». Perché la politica urlata non fa altro che amplificare la paura della gente. Fare politica significa esserci, sempre. Non faccio il politico di professione: non lo faccio e ne sono fiero. Io credo che si possa e si debba fare politica pur mantenendo il proprio lavoro, e credo che questo rappresenti un valore aggiunto. Ti permette di non scendere a compromessi, di non dipendere dalla politica, di non dipendere da una sedia. Ma soprattutto ti permette di restare ancorato alla realtà, alla gente e ai suoi problemi».