Andrea Mazziotti ha le idee molto chiare sul panorama politico che tra meno di una settimana si affaccerà alle elezioni: «ci sono due scelte possibili – spiega -: da un lato la coalizione di centrosinistra che, soprattutto grazie a Più Europa, vuole proseguire su una strada di apertura del mercato e consolidamento delle riforme che hanno appena cominciato a dare risultati positivi dal punto di vista della crescita e dei diritti civili» e dall’altro l’esatto opposto: «Centrodestra, Movimento 5 Stelle e le le altre liste hanno programmi che fanno leva sulla paura, sulla chiusura dei mercati, delle frontiere e dei diritti. Una generalizzata tendenza a voler tornare indietro di anni condita da promesse elettorali inique e inattuabili come la Flat tax».

Andrea Mazziotti, romano, ex parlamentare di Scelta Civica, sta girando ormai da alcune settimane la Lombardia da candidato capolista alla Camera della lista “Più Europa con Emma Bonino” (in coalizione con il centrosinistra). La sua proposta politica fa perno su tre temi: l’Europa, il libero mercato e i diritti civili. A lui si deve la visita a Varese della scorsa settimana del ministro Calenda (Leggi qui), tra i sostenitori della lista “più Europa”.

Come è nata la coalizione con il centrosinistra e il Partito Democratico?

«Non nego che su alcuni temi ci sono alcune distanze con il Partito Democratico ma non ci sono dubbi sul fatto che ci sia una comunanza sulla visione europea. Oggi questo è il tema che fa da spartiacque nella politica: da un lato c’è la visione di chi la guarda come un’opportunità e un orizzonte di cooperazione in ambito globale e dall’altro chi ci vuole chiusi su noi stessi, tra dazi e paure».

Anche nel centrodestra però c’è chi guarda positivamente all’Unione Europea non crede?

«Seppur Berlusconi a volte gioca in questo ruolo non si possono negare da quella parte le influenze delle politiche salviniane. Nel centrodestra hanno una grande responsabilità che non può passare inosservata: l’alleanza con persone che su questi temi hanno proposte indifendibili. Questa è una grandissima colpa perché dall’opzione europea non si esce: l’Italia le sfide mondiali non le può affrontare da sola. Non dobbiamo mai tornare al passato: Movimento 5 Stelle e Lega vogliono statalismo totale e lo racconta a suon di boutade come abbiamo visto in questa campagna elettorale».

In queste settimane lei sta girando la Lombardia, che cosa sta imparando da questi territori?

«Questa provincia così come le altre della Lombardia sono e dovrebbero essere le più consapevoli del fatto che oggi non ci si può chiudere su noi stessi e che quell’opzione politica va rifiutata: il dinamismo economico, l’export, gli investimenti e tutte quelle caratteristiche che hanno fatto grandi le imprese di questo territorio e in fin dei conti il territorio stesso sono cose che in un sistema nazionalista e con i dazi scomparirebbero. Non è più la situazione dell’Italia degli anni ‘80. Oggi con queste ricette le piccole e medie imprese e i segni di ripresa morirebbero. Oggi i dati ci dicono che stiamo tornando a livelli pre crisi e che la ripresa, seppur lenta, sta arrivando. Questi sono i frutti delle misure fatte in questi anni: sul lavoro, sulle pensioni, sugli investimenti, sull’internazionalizzazione. Si pensi ad esempio al Piano Calenda: tutta sarebbe smantellato subito se vincessero il centrodestra e il Movimento 5 stelle. Il tema oggi è: vogliamo continuare su questa strada o interrompere questo percorso? Per regioni dinamiche come la Lombardia non avrebbe alcun senso».

Cosa succederà il 5 marzo?

«Oggi è impossibile dirlo, con il 30% degli indecisi potrebbe succedere di tutto. Il mio auspicio è che il centrosinistra e Più Europa prendano più voti. Lo dico anche guardando al contesto internazionale. Se i socialisti tedeschi confermeranno l’accordo per il Governo tedesco l’Europa ripartirà molto velocemente la propria costruzione a guida Franco-Tedesca. Io non vorrei mai che a rappresentare i nostri interessi nazionali e ad affrontare quella sfida ci siano Salvini e Meloni. Diventeremmo un paese irrilevante».

Come siamo arrivati a questo clima di sfiducia nella classe politica. È stata colpa della classe dirigente o del contesto economico generale?

«La crisi di fiducia nel mondo aperto, globale e dei diritti non è arrivata solo da noi, si va da Trump in America alla Le Pen in Francia per fare gli esempi più noti. Quando si è fatta la globalizzazione e si è aperto il mondo non si è tenuto conto del fatto che andava gestito il grande spostamento di ricchezza verso i paesi emergenti e il fatto che le conseguenze si sarebbero scaricate soprattutto sulla classe media. Questo aspetto non è stato gestito come non è stata gestita la paura nei confronti dei grandi cambiamenti nei quali siamo immersi. Per questo è partita la semplificazione che vediamo oggi ma non è ma colpa di chi ha paura, è colpa di chi non ha intercettato questo malessere da un lato e di chi, invece, sta sfruttando quella paura semplificando le ricette e le proposte politiche. Oggi bisogna raccontare che le cose non stanno andando così male come ce le stiamo raccontando, e il problema della sicurezza ne è un classico esempio, e che la situazione è complicata e va affrontata con impegno e tanto lavoro».